Onorevoli Colleghi! - Ogniqualvolta nel nostro Paese si verifica un evento calamitoso riconducibile, almeno nelle determinanti principali, a cause naturali, si «riscopre» la congenita fragilità del territorio nazionale e l'elevata esposizione al rischio di calamità naturali (terremoti tettonici, dissesti idrogeologici, eruzioni vulcaniche eccetera).
      È fondamentale passare dalla stagione dell'emergenza alla cultura della consapevolezza del livello di esposizione al rischio e della imprescindibile necessità di sviluppare una adeguata politica di previsione e di prevenzione finalizzata alla riduzione della vulnerabilità del territorio. Come evidenziato dal «Rapporto sulla situazione sociale del Paese» a cura del Censis, è necessario considerare che se il rischio di particolari eventi calamitosi appare in qualche modo ineluttabile, lo stesso non può dirsi dell'entità dei danni subiti.
      L'ineluttabilità degli eventi è sicuramente alta per terremoti ed eruzioni vulcaniche rispetto ai quali non esiste alcuna possibilità di intervento. Di altra natura è il caso dei fenomeni idrogeologici, e in particolare delle alluvioni e inondazioni: sono certamente eventi innescati da eventi metereologici generalmente incontrollabili, anche se in alcuni casi prevedibili, che trovano nell'inadeguata gestione e nella scarsa manutenzione del territorio amplificatori degli effetti negativi. Il parere dei tecnici dell'Autorità di bacino del Po in merito alle cause dirette e indirette dell'alluvione che si è abbattuta sul Piemonte nel novembre del '94 lo conferma.
      Siamo in grado di stimare con un buon margine la probabilità con cui gli eventi

 

Pag. 2

calamitosi si possano verificare e il loro contesto territoriale. Sono mappate le zone a rischio sismico e vulcanico e i periodi dell'anno in cui alcuni territori sono esposti a rischi metereologici. La definizione della probabilità di un evento non è certo sufficiente a prevedere i tempi e i modi nei quali l'evento si manifesterà, ma consente di programmare un'efficace opera di prevenzione. Mentre per quanto concerne terremoti ed eruzioni la prevenzione è indispensabile per limitare i danni, ma non può nulla contro gli eventi stessi, nel caso delle alluvioni è possibile limitare o addirittura impedire lo svilupparsi di fenomeni di rischio.
      L'obiettivo che il legislatore si deve porre consiste nella pianificazione degli interventi in tre settori chiave: la sistemazione idrogeologica e idraulica del territorio, la regolamentazione d'uso delle aree inondabili, la predisposizione di strumenti e procedure atti a diramare per tempo gli allarmi, ad organizzare i soccorsi e a predisporre eventuali evacuazioni di popolazione che risultino realmente perseguibili e di minor impatto possibile sulle comunità locali sottoposte a calamità.
      È estremamente complicato addentrarsi nella giungla dei provvedimenti normativi relativi agli interventi dello Stato a seguito di calamità naturali. Questo vale in particolare per la determinazione del costo degli interventi e per la loro ripartizione nel tempo. Ordinanze e decreti emessi in regime di emergenza vengono convertiti in leggi di spesa, sono stati istituiti fondi speciali con competenze ripartite su più anni e con stanziamenti a differenti enti. In due occasioni si è tentato di ricostruire in serie storica il costo degli stanziamenti per calamità naturali: nel 1989, quando una commissione istituita presso il Ministero del tesoro ha quantificato l'impegno finanziario dello Stato dal 1968 al 1989, e nel 1991, quando il Servizio geologico nazionale, estendendo i dati contenuti nel rapporto del Ministero, ha ricostruito gli stanziamenti dal secondo dopoguerra fino al 1990.
      Oggi, alla luce di questi studi e a seguito dell'esame della spesa per gli eventi più recenti si è in grado di stimare in circa 198.000 miliardi gli stanziamenti complessivi relativi agli ultimi 47 anni: ciò equivale ad una spesa di più di 4.000 miliardi l'anno (in lire al 1994). Nel dopoguerra il 51,8 per cento degli stanziamenti è andato all'Italia meridionale e il terremoto della Campania e della Basilicata del 1980 ha impegnato la metà degli stanziamenti complessivi. I terremoti di origine tettonica hanno contribuito alla spesa per calamità per il 74 per cento del totale.
      Un altro dato da evidenziare è che l'intervento statale conseguente al verificarsi di calamità naturali si sviluppa, soprattutto in relazione agli eventi più gravi, su un arco temporale di più anni o decenni. Le ragioni sono imputare nella tipologia di intervento, in genere suddivisa in tre fasi:

          la fase degli interventi di emergenza e di pronto soccorso necessari per far fronte all'evento calamitoso, da attuare nel breve termine e con particolare riferimento ai disagi delle popolazioni interessate;

          la fase della ricostruzione delle opere infrastrutturali e del patrimonio edilizio danneggiato o distrutto, nonché della ripresa delle attività economiche interrotte;

          la fase cosiddetta «di sviluppo», nel corso della quale l'evento calamitoso rappresenta l'occasione per intervenire sulla situazione preesistente dotando il territorio di infrastrutture a nuova funzionalità e rinvigorendo la struttura abitativa ed economica locale.

      Proprio quest'ultima fase ha determinato, soprattutto in relazione agli eventi più disastrosi, le maggiori anomalie contraddistinte da sperpero del denaro pubblico e fallimento degli obiettivi. Se si può ritenere comprensibile che durante l'emergenza (assistenza alla popolazione e ripristino della funzionalità del territorio) la stima del fabbisogno sia approssimativa (e come tale immediatamente reiterabile) e difficilmente valutabile negli esiti, ciò non

 

Pag. 3

appare altrettanto accettabile per gli interventi di terza fase, che richiederebbero la massima oculatezza in riferimento all'effettivo fabbisogno. Finanziamenti che si susseguono per decine d'anni sulla base di vecchie e nuove leggi di spesa, quando l'emergenza rappresenta ormai un lontano ricordo, finiscono facilmente per assumere il carattere di trasferimenti di assistenza ordinaria. Ogni anno vengono iscritti nel bilancio di previsione dello Stato cospicui capitoli per finanziare lavori di emergenza e di ricostruzione.
      È fuori dubbio che la soluzione migliore per limitare i danni consista in una sapiente ed efficace opera di prevenzione svolta attraverso una maggiore tutela del territorio e tramite una più adeguata politica finanziaria, soprattutto per mettere in condizione gli enti locali, veri guardiani istituzionali del territorio, di svolgere la loro funzione.
      La politica dei finanziamenti incontrollati ed ingenti, distribuiti dallo Stato centrale in seguito ad eventi tragici, ha seminato solo disperazione, ulteriore deterioramento del territorio, aspettative senza risposta, malaffare e una coda di residui da pagare, che ancora oggi lo Stato italiano non è in grado di quantificare.
      Le leggi speciali, quali la legge per la Valtellina, concepite sull'onda emotiva dei precedenti scandali, complicate, burocratizzate, di concezione centralista, si sono rivelate inattuabili e non adatte ad offrire risposte in tempi accettabili.
      In un momento in cui tutte le forze politiche si dichiarano favorevoli al decentramento, in un settore tanto delicato e difficile, si ritiene sia giusto tentare la carta della responsabilità finanziaria e gestionale degli enti locali.
      Lo Stato centrale, nelle varie fasi che sono seguite alle innumerevoli calamità naturali, ha spesso fallito o non ha soddisfatto le aspettative, in quanto sono sovente venute meno le condizioni indispensabili: la chiarezza nella individuazione dei compiti degli enti gestori e la certezza dei finanziamenti. Oggi, sulla scorta delle difficoltà gestionali sin qui incontrate dallo Stato centrale, è nostra convinzione che gli enti locali possano efficacemente essere delegati a svolgere tali compiti.
      È giunto il momento in cui lo Stato centrale cominci a fidarsi degli enti locali intraprendendo una politica di responsabilizzazione degli stessi.
      Solo limitando il deleterio e sfiduciante rapporto cittadino-Stato centrale, filtrato e intermediato peraltro da enti locali impotenti che, spesso, fungono esclusivamente da passacarte, ognuno sarà messo di fronte alle proprie responsabilità con evidenti risvolti positivi per le legittime aspettative delle popolazioni colpite. Lo Stato deve garantire il proprio aiuto nei momenti di emergenza, e poi interpretare un ruolo di sussidiarietà rispetto agli enti locali che gestiscono la fase di vera e propria ricostruzione.
      La legge proposta si muove in tale direzione, rivoluzionando il modo di operare sin qui seguito. Si tratta di un passaggio importante nel corso del quale viene messo in discussione un modello di intervento basato su costose azioni infrastrutturali gestite dal centro.
      Lo Stato centrale, sentiti gli organi periferici competenti, individua le zone colpite dagli eventi calamitosi e dichiara lo stato di calamità naturale. Le province e i comuni individuati dallo Stato diventano, a questo punto, unici responsabili della fase di emergenza e ricostruzione, ferma restando la gestione della fase acuta in cui tutti gli organi istituzionali sono chiamati a concorrere.
      Lo Stato deve mettere gli enti locali nella condizione di poter efficacemente operare, delegandoli alla gestione della fase post-emergenza, garantendo loro idonee risorse finanziarie e autorizzandoli in via del tutto eccezionale a trattenere, presso appositi conti vincolati alle finalità della legge, una parte delle imposte dirette pagate dai cittadini colpiti dagli eventi calamitosi.
      In tale modo diventano del tutto evidenti gli immediati segnali positivi in termini di fiducia e sicurezza finanziaria che verrebbero trasmessi a cittadini colpiti
 

Pag. 4

pesantemente nei loro averi più cari e nei loro affetti più intimi.
      Gli enti locali gestiscono l'intervento sostanzialmente in tre fasi:

          lavori di somma urgenza;

          lavori di riparazione ad infrastrutture urgenti e risarcimento dei danni minori ai privati;

          fase di ricostruzione e messa in sicurezza del territorio tramite un apposito piano.

      I lavori di somma urgenza sono totalmente finanziati con le variazioni di bilancio che gli enti locali attueranno trattenendo una quota dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e dell'imposta sul reddito delle società (IRES) pari al 40 per cento, pagata nei territori di rispettiva competenza.
      I lavori urgenti di riparazione alle infrastrutture sono coperti dalle suddette variazioni di bilancio sino alla quota massima del 90 per cento; la rimanente quota è finanziata con fondi propri degli enti locali. La provincia esercita, inoltre, con i fondi ad essa assegnati (40 per cento dell'IRPEF e dell'IRES pagata nei comuni interessati dalla calamità naturale), un ruolo sussidiario e di solidarietà verso i comuni, utilizzando parte delle risorse a favore dei territori più colpiti e con minori capacità economiche.
      Così, per quanto riguarda questa fase, sono introdotti due princìpi qualificanti caratteristici dello spirito che anima la presente proposta di legge: la compartecipazione finanziaria degli enti locali con fondi propri di bilancio e il ruolo di coordinatore e di solidarietà svolto dalla provincia.
      Per quanto concerne la fase di ricostruzione e messa in sicurezza del territorio, la presente proposta di legge prevede che la stessa sia attuata attraverso l'approvazione di uno o più piani provinciali in cui sono indicati i tempi, i modi, i costi e gli obiettivi finali del piano stesso.
      Fondamentale risulta un organico intervento di messa in sicurezza del territorio e l'attuazione di una manutenzione programmata dello stesso, soprattutto per quanto concerne la pulizia degli alvei dei fiumi e dei torrenti. Il piano si pone anche l'obiettivo di un rilancio socio-economico delle aree colpite attraverso aiuti alle imprese, dotazione di servizi e valorizzazione delle risorse naturali.
      Sempre nello spirito di una loro responsabilizzazione anche finanziaria, gli enti locali concorrono con fondi propri di bilancio, in una misura minima pari al 20 per cento alle esigenze del piano; la rimanente quota è finanziata con l'iscrizione a bilancio di una quota pari all'80 per cento dell'IRPEF e dell'IRES pagata nei comuni interessati dal piano ed individuati dal Ministero dell'interno.
      Mentre le prime due fasi dell'emergenza sono attuate dagli enti locali senza alcun controllo preventivo di carattere formale, salvo comunicazione allo Stato dei danni sommariamente stimati, la terza fase, quella relativa al piano, pur essendo nel merito di esclusiva competenza degli enti attuatori, è sottoposta ad un controllo formale effettuato da un'apposita commissione istituita presso la regione.
      Per quanto riguarda le opere di regimazione e messa in sicurezza degli alvei dei torrenti e dei fiumi, la presente proposta di legge prevede che le stesse siano identificate dagli organi competenti, inserite nel piano di risanamento idrogeologico, progettate ed appaltate dalla provincia. Si attua in questo modo un avvicinamento delle procedure esecutive (progetti ed appalti) alla realtà del territorio consentendo di conseguenza maggiore possibilità di controllo da parte dei cittadini sulle modalità con cui vengono spese le risorse, pur permettendo agli organi competenti per legge il controllo sugli atti esecutivi. Una quota pari al 10 per cento dei fondi è vincolata per opere di manutenzione programmata e pulizia degli alvei dei fiumi.

 

Pag. 5